Che cos'è lo smart working e come funziona?
12/10/2020
Lo smart working indica una forma di lavoro che si svolge all’esterno dalla sede elettiva del datore di lavoro.
In Italia, la modalità di lavoro in smart working è disciplinata dalla Legge n. 81/2017, secondo la quale lo scopo della misura è quello di “[…] incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”, nonché promuovere “[...] il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato […] anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.”
L’applicazione del lavoro agile può riguardare soltanto quei rapporti di lavoro le cui mansioni siano oggettivamente compatibili con un utile svolgimento delle attività caratterizzanti fuori dall’impresa, mediante collegamenti informatici.
Il datore di lavoro deve pertanto procedere ad una “mappatura” delle posizioni aziendali, per definire quelle astratta¬mente suscettibili di essere coperte mediante lavoro agile, alla luce della loro natura e del loro contenuto materiale. Se una specifica mansione, a seguito della mappatura, è materialmente compatibile con l’esecuzione con tipologia di lavoro smart, l’esclusione dall’utilizzo dello strumento potrà essere determinata solo da una valutazione di indispensabilità della presenza in loco.
Il datore di lavoro non potrà obbligare il lavoratore a lavorare in modalità agile senza il suo consenso e, di contro, il lavoratore non potrà pretendere di eseguire la prestazione da casa senza il consenso del datore di lavoro.
I datori di lavoro che stipulano accordi per l'esecuzione della prestazione di lavoro in smart working devono dare priorità alle richieste formulate dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità e dai genitori di figli disabili.
L’istituzione del regime di smart working deve essere effettuata obbligatoriamente in forma scritta.
L'accordo può essere:
- a termine, nel qual caso il recesso dalla modalità potrà avvenire senza preavviso;
- a tempo indeterminato, nel qual caso il recesso potrà avvenire con un preavviso non inferiore a trenta giorni. Tale termine è innalzato a 90 giorni nel caso di lavoratori disabili ai sensi dell'articolo 1 della legge 12 marzo 1999, n. 68.
Il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all'interno dell'azienda.
Il datore di lavoro può esercitare il proprio potere disciplinare a norma dell’articolo 2106 del Codice Civile, imponendo al lavoratore di usare la diligenza necessaria, connessa alla natura della prestazione di lavoro. Dunque, potrà svolgere le necessarie verifiche sul corretto svolgimento della prestazione a distanza del dipendente, effettuando gli opportuni controlli nel rispetto dei limiti fissati dagli accordi tra le parti e della normativa in materia.
L'articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori prevedeva l’assoluto divieto di utilizzare apparecchiature o strumenti per finalità di controllo a distanza dell’attività del lavoratore ma con le successive riforme si è disposto che i dispositivi dai quali derivi anche un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori potranno essere utilizzati dal datore di lavoro per esigenze di carattere organizzativo e produttivo, di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio aziendale. Tuttavia, il datore di lavoro ha l’obbligo di concludere accordi preventivi con le rappresentanze sindacali circa le modalità di utilizzo di tali strumenti, oppure, in mancanza, dovrà ottenere la relativa autorizzazione della sede territoriale dell’Ispettorato Nazionale del lavoro.
Questa procedura non si applica all’utilizzo dei dispositivi assegnati al dipendente come computer portatili, tablets, smartphone etc., oppure agli strumenti di rilevazione degli accessi e delle presenze, atteso che, in questi casi, il datore di lavoro non ha l’obbligo di concludere un accordo sindacale o di ottenere l’autorizzazione amministrativa.
Il datore di lavoro ha l’obbligo di informare preventivamente il lavoratore agile della possibilità di eseguire controlli sulla prestazione lavorativa di quest’ultimo con apposita informativa aziendale. Se il lavoratore non è stato informato adeguatamente sull’uso dei dispositivi di controllo e sulle modalità di effettuazione dei controlli, i dati raccolti non potranno essere usati dal datore di lavoro per alcuna finalità, neanche sanzionatoria.
Il ricorso alla tipologia di lavoro agile ha rappresentato uno degli strumenti sui quali il Governo ha fatto leva, nell’ambito delle ulteriori misure adottate per il contenimento e la gestione dell’emergenza da Coronavirus.
Il 1° marzo 2020 il Governo aveva infatti previsto, per l’intera durata dello stato di emergenza, una semplificazione della procedura necessaria per il ricorso al regime di smart working.
Il DPCM dell’8 marzo 2020 aveva previsto, poi, che per tutta la durata dello stato di emergenza, il lavoro agile potesse essere applicato dai datori di lavoro “anche in assenza degli accordi individuali”, con “obblighi di informativa” in materia di salute e sicurezza sul lavoro assolti in via telematica anche attraverso l’apposita documentazione predisposta sul sito dell’INAIL.
Successivamente il DPCM 11 marzo 2020, al fine di prevenire possibili contagi in azienda e di limitare la mobilità delle persone, aveva “raccomandato” alle imprese il “massimo utilizzo” del lavoro agile per tutte quelle attività che potessero tecnicamente essere svolte fuori dai locali aziendali.
Anche con il decreto “Rilancio” del maggio 2020 l’ampio ricorso al lavoro agile era stato confermato. Fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che avevano almeno un figlio minore di anni 14, a condizione che nel nucleo familiare non vi fosse altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell'attività lavorativa o che non vi fosse altro genitore non lavoratore, avevano diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali, a condizione che tale modalità fosse compatibile con le caratteristiche della prestazione.
Il decreto aveva chiarito, inoltre, che la prestazione lavorativa può essere svolta anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente, qualora non siano forniti dal datore di lavoro, così di fatto esonerando il datore di lavoro dall'obbligo di mettere a disposizione dei dipendenti gli strumenti di lavoro necessari per svolgere l’attività.
A fronte del crescente numero di contagi anche con il decreto “salute” di ottobre il governo è tornato raccomandare l’utilizzo del lavoro agile per tutte quelle attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza.
Le misure adottate per permettere un più veloce ricorso allo smart working durante l’emergenza in corso
Per permettere il più ampio ricorso possibile allo smart working da parte di datori di lavoro e lavoratori, il Ministero del Lavoro ha predisposto una procedura semplificata per l’invio “massivo” delle comunicazioni di attivazione del lavoro agile connesse all’emergenza COVID-19, basata sulla trasmissione telematica tramite portale delle sole generalità del datore di lavoro e dei lavoratori interessati, nonché della durata della misura, con predisposizione e conservazione presso l’impresa di un’autocertificazione in cui si dà formalmente atto di aver applicato la misura per uno o più dipendenti.
La procedura semplificata permane, con il decreto “Rilancio” del maggio 2020, per tutto il perdurare dell’emergenza sanitaria.
Stante la chiarezza della norma ordinaria, viste le disposizioni in via di urgenza, si era posta la questione se a seguito delle misure urgenti fosse ancora necessario un accordo, ancorché informale, tra datore di lavoro e lavoratore per l’attivazione della modalità di lavoro agile.
All'inizio dell’emergenza sanitaria, infatti, si era presentata una difficoltà di coordinamento tra la disciplina ordinaria e quella decretata. In un contesto in cui il Governo espressamente “raccomandava” alle imprese il “massimo utilizzo” del lavoro agile per motivi di tutela della salute dei dipendenti e della collettività, ci si era chiesti infatti se la normativa emergenziale desse o meno la facoltà insindacabile al datore di lavoro di applicare il lavoro agile anche in assenza degli accordi individuali previsti dagli artt. 18 e ss. L. 81/2017.
Ogni dubbio era stato fugato dal decreto “Rilancio”, che aveva disposto espressamente la possibilità di ricorrere al lavoro agile anche in assenza degli accordi individuali.
Se all'inizio dell’emergenza, in deroga all'accordo, il datore di lavoro poteva predisporre una dichiarazione sostitutiva dell’accordo scritto attestando che il lavoro agile fosse stato attivato d’intesa con il dipendente, ora questa necessità sembra venuta meno. In ogni caso, posto che probabilmente gli accordi individuali erano stati stipulati tra datore di lavoro e dipendente durante la prima fase emergenziale, i medesimi sono stati prorogati per la successiva fase coperta dal decreto “Rilancio”.
Prima del decreto “Rilancio” appariva chiaro che, di fronte al rifiuto del datore di lavoro di predisporre modalità di lavoro agile, il lavoratore non potesse optarvi unilateralmente.
Ciò appare ancora vero con la normativa emergenziale sopravvenuta, in caso di oggettiva incompatibilità del lavoro agile con la mansione svolta da parte del dipendente.
Tuttavia, il decreto “Rilancio” aveva introdotto un vero e proprio diritto al ricorso allo Smart Working per i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che avessero almeno un figlio minore di anni 14, a condizione che nel nucleo familiare non vi fosse altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell'attività lavorativa o che non vi fosse genitore non lavoratore.
Nei casi in cui il lavoratore ritenesse illegittimo il rifiuto manifestato dal datore di lavoro per via della compatibilità del lavoro agile con le proprie mansioni e per la non indispensabilità della sua presenza fisica per la continuazione della produzione in condizioni di sicurezza, potrà scegliere se esercitare l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., rifiutandosi di rendere la prestazione lavorativa “in presenza”.
Poiché l’eccezione ex art. 1460 c.c. (eccezione di inadempimento) è esercitabile senza alcun preventivo controllo giudiziale, è ovvio che il lavoratore si dovrà assumere il rischio della sua scelta: infatti, ove il suo rifiuto non sia ritenuto giustificato (per incompatibilità del lavoro agile con le sue mansioni o per ragionevole indispensabilità della prestazione, con allestimento da parte del datore di lavoro di tutti i presidi di sicurezza necessari) l’interessato potrà subire le conseguenze disciplinari dell’assenza ingiustificata e dell’insubordinazione alle direttive datoriali.
Nella attuale contingenza, il rifiuto della prestazione fisica nella sede dell’azienda potrà avvenire anche in caso di mancato allestimento delle idonee misure di sicurezza e prevenzione da parte del datore, anche qui con l’avvertenza che, in caso di controversia, se il datore di lavoro riuscirà a dimostrare che l’ambiente lavorativo, per le iniziative adottate, non determinava alcun rischio specifico o generico aggravato di contrarre il Covid-19, il lavoratore sarà esposto alle conseguenze disciplinari della sua iniziativa.
Nel caso di pluralità di richieste e di impossibilità della loro contemporanea soddi¬sfazione, si ritiene che anche durante il periodo di emergenza varranno i criteri di priorità stabiliti dall’art. 18 c. 3 bis L. 81/2017 (lavoratrici madri nei tre anni dalla fine del congedo; lavoratori genitori di figli disabili), che risultano essere ingrati con le categorie previste dall’art. 39 c. 2 D.L. 18/2020 (lavoratori disabili in situazione riconosciuta di handicap grave; lavoratori che hanno nel proprio nucleo familiare una persona portatrice di handicap grave; lavoratori affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa).
Non essendo stata stabilita una gerarchia tra le varie ipotesi di priorità, sembra che l’ordine di accoglimento potrà ragionevolmente essere quello cronologico.
In collaborazione con:
Studio Legale Potenza
Galleria del Toro, 3
40121 Bologna
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