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22/10/2020


Alla fine del lockdown dei primi mesi dell'anno, il passaggio alla cosiddetta Fase 2 di gestione dell’emergenza epidemiologica in corso aveva comportato il rientro al lavoro di numerose persone.

In prossimità della ripresa delle attività, le istituzioni tanto politiche quanto sanitarie avevano concordato su un dato imprescindibile: la ripresa dell’attività lavorativa da parte di milioni di italiani poteva avvenire se ed in quanto fosse stata garantita la tutela della salute negli ambienti di lavoro rispetto alla possibilità di contrarre il Covid-19, non solo in un’ottica di tutela individuale ma anche al fine di evitare il possibile innescarsi di nuovi focolai virali.

Tutto ciò è valido ancora oggi e l'adeguamento alle normative in materia rappresenta il presupposto che le imprese devono soddisfare per poter esercitare la loro attività riducendo il rischio di incorrere in procedimenti penali e gravosi risarcimenti.

La normativa

L’obbligo dell’imprenditore di garantire la salute e sicurezza dei dipendenti nei luoghi di lavoro è già contenuta nella disciplina del Codice Civile, a norma del quale il datore di lavoro è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (art. 2087 Codice Civile).

Tale obbligo si estrinseca attraverso la valutazione dei rischi connessi all’esercizio di ciascuna mansione che viene svolta nell’azienda.

Il datore di lavoro è tenuto, pertanto, a mappare e valutare tutti i rischi a cui potenzialmente il lavoratore potrebbe essere esposto nell’esercizio della propria mansione, in conformità con quanto previsto dall’art. 15, comma 1, lett. a) del D. Lgs. 81/2008 (T.U. Sicurezza sul Lavoro) e a redigere, una volta ultimata questa valutazione, il Documento Unico di Valutazione dei Rischi (D.V.R.), con l’ausilio del R.S.P.P. (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione) e del medico competente, previa consultazione con il R.L.S. (Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza).

La normativa in regime emergenziale

Sulla disciplina già esistente si innesta la normativa adottata in regime emergenziale che va ad arricchire gli obblighi del datore di lavoro.

Nel Protocollo sottoscritto il 14/03/2020 tra Governo, Imprese e Sindacati sono state adottate misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro. Nella condivisibile ottica di coniugare la prosecuzione delle attività produttive con la tutela della salute dei lavoratori, la parola d’ordine sembra essere una: concertazione. Ogni misura aziendale volta al coordinamento di attività lavorativa e sicurezza in ambiente di lavoro deve infatti essere adottata con il confronto preventivo con le rappresentanze sindacali presenti nei luoghi di lavoro, oppure quelle territoriali, nonché con i R.L.S., per poter tener adeguatamente conto della specificità di ogni singola realtà produttiva e delle situazioni territoriali.

Anche in ragione del momento storico in cui il Protocollo è stato adottato – ossia il 14/03/2020, momento di massima espansione del contagio – all’interno del documento sembrano essere stati privilegiati più gli strumenti di astensione dal lavoro che quelli di gestione del rischio all’interno dell’azienda. Infatti, il Protocollo individua nel ricorso più ampio possibile allo smart working, nella sospensione delle attività non strettamente necessarie alla produzione e nel ricorso alle ferie (o altri ammortizzatori sociali) le misure più idonee al contenimento della pandemia.

Le misure da adottare

Il Protocollo del 14 marzo 2020 anticipava, in ogni caso, già parte delle misure che il Governo, unitamente agli enti competenti, ha ritenuto di dover imporre per l’apertura delle aziende in occasione della Fase 2. Il 24 aprile 2020, infatti, le medesime Parti Sociali hanno sottoscritto un ulteriore Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, all’interno del quale vengono ribadite le principali misure contenute nel precedente, ossia:

  • assunzione di protocolli di sicurezza anti-contagio;
  • osservanza di distanza interpersonale con adozione di strumenti di protezione individuale;
  • sanificazione dei luoghi di lavoro;
  • limitazione al massimo degli spostamenti all’interno dei siti e contingentamento dell’accesso agli spazi comuni;
  • adozione di procedure specifiche per l’ingresso di soggetti esterni (fornitori, visitatori, ecc.);
  • gestione di eventuale personale sintomatico in azienda.


Con il Protocollo del 24 aprile 2020 è stata, inoltre, introdotta una specifica previsione per il reinserimento in azienda dei lavoratori che sono stati esposti all'infezione. Per questi soggetti l’ingresso in azienda dovrà essere preceduto da una preventiva comunicazione avente ad oggetto la certificazione medica da cui risulti la “avvenuta negativizzazione” del tampone secondo le modalità previste e rilasciata dal dipartimento di prevenzione territoriale di competenza.

Il D.l. n. 34 del 19 maggio 2020 (c.d. decreto “Rilancio”) aveva introdotto ulteriori previsioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, disponendo in particolare:
• l’obbligo per i datori di lavoro di assicurare la sorveglianza sanitaria eccezionale dei lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio, in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, anche da patologia Covid-19, o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o comunque da comorbilità che possono caratterizzare una maggiore rischiosità;
• la possibilità, per le aziende che non sono tenute alla nomina del medico competente ai sensi del D.Lgs. N. 81/2008, di avvalersi dei presidi territoriali dell'INAIL per provvedere alla sorveglianza sanitaria;
• l’introduzione di misure di sostegno alle imprese per la riduzione del rischio da contagio nei luoghi di lavoro, nonché di crediti di imposta per l’adeguamento e la sanificazione degli ambienti di lavoro.

A questo punto, sembra doveroso chiedersi se il datore di lavoro debba effettuare una nuova valutazione dei rischi lavoro correlati, con conseguente aggiornamento del relativo D.V.R., in ragione della presenza del nuovo rischio (il Covid-19) e se dal mancato rispetto di tale obbligo possano derivare conseguenze.

Che il D.V.R. sia uno strumento elastico, che deve quindi essere modificato e/o aggiornato in ragione di nuove esigenze organizzative o fattuali, appare indiscutibile. L’art. 29, 3° comma, del D. Lgs. 81/2008 impone infatti al datore di lavoro di rielaborare la valutazione dei rischi in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità.

Benché il rischio di contagio da Covid-19 non sembri rientrare in senso stretto in una delle condizioni individuate dall’art. 29, 3° comma, D. Lgs. 81/2008, l’adozione delle misure richieste sembra di per se stessa presupporre quantomeno una nuova valutazione, anche solo temporanea, dei rischi lavoro correlati.

Sul punto era intervenuto l’INAIL, in data 23 aprile 2020, con il Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione.

In tale documento INAIL indica che c’è la necessità di adottare una serie di azioni che vanno ad integrare il documento di valutazione dei rischi (DVR) atte a prevenire il rischio di infezione SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro contribuendo, altresì, alla prevenzione della diffusione dell’epidemia.

Le misure menzionate da INAIL sono riconducibili ai tre categorie:

  • misure organizzative, in merito alle quali viene osservato che la progressiva riattivazione del ciclo produttivo non può prescindere da una analisi dell’organizzazione del lavoro atta a contenere il rischio attraverso rimodulazione degli spazi e postazioni di lavoro, dell’orario di lavoro e dell’articolazione in turni, e dei processi produttivi.
  • misure di prevenzione e protezione, che devono avere carattere sia generale che specifico ed essere commisurate al rischio di esposizione a SARS-CoV-2 negli ambienti di lavoro;
  • misure specifiche per la prevenzione dell’attivazione di focolai epidemici, che prevede il rafforzamento di tutte le misure di igiene già richiamate, oltre alla previsione di una procedura del controllo della temperatura corporea sui lavoratori pri¬ma dell’accesso al luogo di lavoro.

Cosa rischia chi non rispetta la normativa antinfortunistica

Corre l’obbligo di ricordare che dal mancato rispetto della normativa antinfortunistica discendono, per il datore di lavoro, sanzioni di natura penale, tra cui:

  • omessa adozione del D.V.R.: arresto da tre a sei mesi o ammenda da 3.071,27 a 7.862,37 Euro;
  • adozione del D.V.R. senza indicazione delle misure di prevenzione e di protezione e mancato aggiornamento del D.V.R. secondo le tempistiche previste in caso di modifiche: ammenda da euro 2.457,01 a euro 4.511,96;
  • adozione del D.V.R. senza relazione sulla valutazione di tutti i rischi: ammenda da euro 1.228,50 a euro 2.457,01.


Ma vi è di più.

Con l’art. 42 del D.L. 18/2020 l’infezione da Covid-19 contratta in ambiente di lavoro viene, a tutti gli effetti, considerata come infortunio sul lavoro, anche ai fini della gestione da parte dell’INAIL (v. circolare INAIL n. 13 del 03/04/2020).


Deve essere ricordato che con l’entrata in vigore del D. Lgs. 81/2008 i reati di lesioni personali e omicidio colposi verificatisi in violazione della normativa antinfortunistica sono stati inseriti tra i reati-presupposto che possono comportare una responsabilità amministrativa dell’ente ai sensi del D. Lgs. 231/2001.

Se da tali eventi dovesse derivare un interesse o un vantaggio per la società (ad esempio, nel mantenimento della regolare prosecuzione della produzione in assenza di un’adeguata valutazione dei rischi e dell’adozione delle necessarie precauzioni, o nel risparmio dei costi per il mancato acquisto dei dispositivi di protezione individuale e/o collettiva), l’azienda potrebbe subire una contestazione ai sensi dell’art. 25septies del D. Lgs. 231/2001.

Il rischio per quest’ultimo caso appare tutt’altro che trascurabile poiché, al di là del danno reputazionale, la disposizione prevede una sanzione amministrativa pecuniaria che nel massimo può arrivare ad Euro 1.549.000, otre a sanzioni di tipo interdittivo (dal divieto di pubblicizzare beni o servizi fino all’interdizione dall’esercizio dell’attività), applicabili anche in via cautelare nel corso del procedimento penale.

 

E' quindi opportuno che il datore di lavoro proceda quantomeno a:

  • una mappatura dei rischi di possibile contagio all’interno dei locali aziendali in stretta collaborazione con i soggetti responsabili della sicurezza sul lavoro (R.S.P.P., R.L.S., Medico Competente, Preposti alle emergenze) e i responsabili delle risorse umane, anche attraverso la costituzione di apposite “Task force” che possano essere un punto di riferimento per i dipendenti in caso di necessità;
  • adeguamento, anche solo in via temporanea, del D.V.R. al nuovo rischio in corso;
  • adozione, ove necessario, delle misure di contenimento del contagio già suggerite dal Protocollo sottoscritto il 14/03/2020 tra Governo, Imprese e Sindacati, come richiamato ed integrato dal successivo Protocollo di data 24 aprile 2020 e dal Documento Tecnico adottato da INAIL in data 23 aprile 2020;
  • introduzione di una specifica sorveglianza sanitaria dei lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio.
 

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